21/10/2024 10:45:00

William Kentridge in Self portrait as a coffee pot

su Mubi serie in nove episodi con i suoi disegni
William Kentridge in Self portrait as a coffee pot

(di Laura Valentini) "Quando avevo tre anni volevo essere un elefante, ma non ci riuscii;a quindici volevo diventare un direttore di orchestra ma mi fu detto che avrei dovuto conoscere la musica. Così mi ridussi a essere un artista". E' il prologo che l'artista sudafricano William Kentridge pronuncia all'inizio della serie 'Self-Portrait as A Coffee-Pot', nove episodi di un film che propone non solo i suoi disegni che si animano sullo schermo ma anche lui stesso che crea e si racconta, mettendo a nudo il processo creativo.Composta da nove episodi la serie è già visibile in streaming in esclusiva su MUBI.
    Kentridge spiega il significato della parola tedesca feticcio Torchluss panik, letteralmente la paura di una porta che si chiude, ovvero l'ansia che deriva da una scelta che ne preclude altre, così realizzando il limite all'immaginazione. "Inizi con l'intento di dipingere il quadro dell'universo e finisci per ritrarre una caffettiera", spiega l'artista che dialoga con il suo doppio. E così la caffettiera o, meglio il suo disegno, serve a spiegare una legge dell'entropia: facendolo a pezzi si produce il caos. Con la combinazione di animazioni disegnate a mano, collage, performance e musica, nonché dialoghi con il suo alter ego, la serie accoglie lo spettatore nell'intimità dello studio d'artista, dove idee sulla cultura, la storia e la politica e verità sul modo in cui viviamo e pensiamo oggi vengono portate alla luce attraverso la realizzazione di opere d'arte. Girata nel suo studio di Johannesburg durante e dopo la pandemia, questa serie di vignette distinte ma interconnesse in cui l'artista intervista se stesso in un gioco di specchi, appare un inno alla libertà artistica e al potere dell'immaginazione, anche di fronte alla sfida dell'isolamento in spazi chiusi. William Kentridge racconta: "Self-Portrait as a Coffee-Pot è una serie realizzata per offrire agli spettatori un senso e uno spirito di possibilità, dal punto di vista dell'artista. È intesa come un'esperienza polemica su un modo di lavorare, una fiducia nel dare a un'immagine il beneficio del dubbio e vedere cosa ne emerge. In fondo si tratta di una serie che parla dell'ottimismo del 'fare' stesso. C'è un ottimismo intrinseco nell'attività di prendere un foglio bianco all'inizio e avere qualcosa alla fine". E la possibilità di rappresentare se stesso diversi, tanti quali le voci che Kentridge, classe 1955, vuole tradurre nei suoi disegni: "a volte - racconta al suo doppio che in questo caso è seduto in posa da psicanalista - sento di avere un rabbino di 65 anni che cresce dentro di me, altre volte mi sento molto più giovane, oppure una snella ballerina".
   

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