Sellerio riscopre Wodehouse e Jeeves
(di Paolo Petroni)
P.G. WODEHOUSE -"ALLA BUON'ORA
JEEVES!" (SELLERIO, PP. 384, 16,00 EURO)
È perentorio Giorgio Manganelli: "Non ho dubbi: Wodehouse è
uno scrittore... di rara originalità, al cui nome ha nuociuto la
rigorosa specializzazione. Fa sempre ridere, come può essere una
cosa seria?". E torna in mente ora che l'editore Sellerio
annuncia di voler intraprendere la pubblicazione dei romanzi
della serie del maggiordomo Jeeves e il suo padrone Bertie
Wooster a cura e nuova traduzione di Beatrice Masini, mandando
in libreria il primo, "Alla buon'ora Jeeves!" (pp. 384 - 16,00
euro).
E Manganelli parla tanto seriamente che annota di non
pensare abbiano mai discusso di lui in sede del Nobel,
indignandosi perché questo "geniale e avventuroso" scrittore sia
stato tenuto "sempre alla periferia della letteratura" e
invitando a recensirlo Citati ma anche Asor Rosa. La sua
risposta è sempre la stessa: "Wodehouse è estremamente
divertente, forse la lingua inglese non ha avuto mai scrittore
così meticolosamente divertente; Jerome, perfino Jerome Klapka
Jerome (dei 'Tre uomini in barca, per non dir del cane'), eroe
della mia infanzia, non gli resiste: ogni tanto Jerome diventa
saggio, pensoso, ha perfino delle idee".
Non si può allora che andare a rileggerlo (nelle edizioni
Bietti, appartenute alla famiglia di mia madre, è stata una
presenza costante nella mia adolescenza) o a scoprirlo che, in
un momento come questo, di hater e fake, di crisi economica e
animi esasperati con sullo sfondo la guerra, la sua suprema,
elegante leggerezza e gli ingranaggi delle situazioni in cui
Wooster si caccia e Jeeves lo tira fuori, più o oltre che
distrarre penso possano far riflettere appunto sui rapporti
umani e sul verso giusto in cui si dovrebbero prendere e
risolvere le cose. "Nel secolo ventesimo - è sempre Maganelli -
un secolo piuttosto sinistro, Wodehouse ha portato il tono
mentale, non tanto l'estro - non è estroso - quanto l'esattezza
del congegno comico dell'antica commedia" e il suo apparente
irrealismo non suona mai falso, anzi è come una recitazione che
fa sentire reale la finzione.
Sono romanzi che sono stati letti anche come implicita
critica sociale, con questo servitore superiore a tutti quanti,
che si perdono in riti e convenzioni ridicole. Del resto
l'Inghilterra aristocratica di queste storie è già morta quando
lui la racconta ("Wooster, se è mai esistito, è stato ucciso
attorno al 1915", scrive Orwell) ma oggi questo ha meno
importanza che mai, anzi quel mondo fuori dal tempo si fa più
esemplare e universale e, come è stato detto, ognuno sa di avere
in sé un po' di Bertram Wooster, della sua nobiltà e sciocca
degradazione assieme.
Wooster riesce a elaborare piani, e gli piace farlo, che si
risolvono sempre in disastri e da cui si salva grazie solo alla
superiore intelligenza e protezza del suo fedele Jeeves. Qui
affronta due problemi sentimentali (ce ne sono sempre in questi
romanzi): la rottura del fidanzamento tra sua cugina Angela e
l'amico Tuppy (tutti hanno ridicoli nomignoli) Glossop e il
fatto che l'altro amico, il timido Gussie Fink-Nottle, non trova
mai l'occasione per dichiararsi a Madeline Bassett, senza
contare, per esempio, il fatto che non è facile stabilire a chi
tocchi l'onore di distribuire premi di fine anno in una scuola
privata. E ogni volta sono queste situazioni, il loro evolversi,
precipitare e risolversi che conquistano totalmente e divertono
il lettore, quasi a prescindere dal filo generale della trama.
La Masini scrive una bella introduzione, presentandoci la
figura di Wodehouse (1881 - 1975) che, arrivato in Inghilterra
da Hong Kong a due anni, entrò dopo la high school in banca
perché un rovescio famigliare gli impedì di andare a Oxford come
il fratello maggiore. Diventato molto ricco e in fretta dal suo
paese visse spesso lontano, tra Francia e America, dove era
amatissimo (e dove morì), non solo per i libri (ha scritto quasi
cento romanzi, uno ogni tre mesi all'inizio, poi ogni sei), ma
anche per le sue canzoni e collaborazioni che andavano da
Zigfiled a Gershwin e il lavoro a Hollywood, dove firmò una
ventina di sceneggiature per il neonato cinema sonoro.
Naturalmente la prefazione non tace sull'ombra che calò nel
dopoguerra su Woodehouse accusato di collaborazionismo coi
nazisti per certe sue trasmissioni radiofoniche prigioniero
inglese a Berlino; accuse da cui fu scagionato dopo lunghe
indagini e anche per il sostegno pubblico di Orwell. E a noi non
resta che tornare alla "misura perfetta di un suo romanzo, che
finisce in levare, come uno strappo, come un'intervista si
chiudesse con una domanda" come conclude la Masini, che firma
anche la bella traduzione, che Manganelli riteneva "facile per
niente", sapendo che "il suo linguaggio è incantevole, perché
l'inglese si presta stupendamente a quelle lievi oscillazioni di
tono che sono non di rado irresistibili".