Tajani: 'Il caso di Trentini non è una rappresaglia di Maduro'
"Forzare il silenzio", sollecitando le istituzioni per liberare al più presto Alberto Trentini. L'appello della madre del giovane cooperante veneziano, in carcere da due mesi in Venezuela, è sempre più disperato e la Farnesina è mobilitata per avere informazioni sul giovane connazionale, di cui non si hanno notizie dal 15 novembre, giorno del suo arresto. "Siamo molto provati. Non sento mio figlio da due mesi. Lui ora è ostaggio di quel Paese, ma è solo una pedina", dice all'ANSA Armanda, la madre di Alberto, arrivato nel Paese sudamericano il 17 ottobre per una missione con l'ong Humanity e Inclusion. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani però rassicura i familiari: la detenzione del cooperante "non è una rappresaglia di Maduro, stiamo lavorando e non è il momento delle polemiche". Il 15 novembre scorso Alberto Trentini mentre stava raggiungendo Guasdalito dalla capitale Caracas - secondo la ricostruzione dei familiari assistiti dall'avvocato Alessandra Ballarini - è stato fermato ad un posto di blocco, insieme all'autista della ong. Dalle informali e scarse informazioni ricevute dai parenti, sembrerebbe che pochi giorni dopo il fermo Alberto sia stato trasferito nuovamente a Caracas e, ad oggi, risulta trattenuto in una struttura di detenzione senza che gli sia mai stata contestata formalmente nessuna imputazione. Sulla vicenda, oltre ad un'interrogazione urgente lanciata da alcuni deputati del Pd, è intervenuto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: "Ho fatto convocare stamani l'incaricato d'affari del Venezuela per protestare con forza per la mancanza di informazioni sulla detenzione del cittadino italiano Alberto Trentini e per contestare l'espulsione di tre nostri diplomatici da Caracas. L'Italia continuerà a chiedere al Venezuela di rispettare le leggi internazionali e la volontà democratica del suo popolo", dice il ministro e vicepremier. Gli elementi della detenzione riportano, almeno dal punto di vista procedurale, a quanto avvenuto alla giornalista Cecilia Sala tenuta in carcere per ventuno giorni a Teheran senza un sostanziale capo di accusa. Sullo sfondo della vicenda di Trentini il contesto politico del Venezuela, in particolare il clima ostile che riguarda oppositori, semplici dissidenti del presidente Maduro o persone ritenute sospette, che è peggiorato negli ultimi mesi. A denunciare poi alla propria ong quella situazione complicata nel Paese sarebbe stato lo stesso Trentini, manifestando - il giorno prima dell'arresto - l'intenzione di dimettersi in un messaggio whatsapp diretto ad un collega della propria organizzazione. "Nel pieno rispetto della sovranità territoriale del governo bolivariano e senza voler interferire nella diplomazia delle relazioni tra Italia e Venezuela, chiediamo la liberazione di Alberto affinché possa tornare a casa e all'affetto dei suoi familiari e amici", affermano in una nota l'avvocata Alessandra Ballerini e i familiari del cooperante veneto. Sua madre spiega di non avere più notizie di lui da sessanta giorni: "da allora io e mio marito siamo nell'angoscia. Mio figlio - spiega - era solito durante ogni sua missione mandarci un messaggio e la localizzazione del luogo in cui arrivava. Questa volta non abbiamo saputo niente. Lui è speciale per tutto quello che ha fatto in questi anni, aiutando gli altri. Mi diceva sempre che la più grande soddisfazione era vedere il sorriso delle persone che aiutava, gente, i caminantes in fuga dal Venezuela che arrivavano da loro con le scarpe sbriciolate". Intanto è stata lanciata una petizione online sulla piattaforma change.org dagli amici dell'operatore umanitario veneziano, che chiedono il rilascio di Alberto Trentini. A promuovere la raccolta di firme, che dai ieri ha già raccolto oltre tremila adesioni, è un'amica del giovane, Maria Giulia Palazzo.